Nella sua premessa all'edizione del 1969, Gioacchino Lanza Tomasi scriveva di zio: "Lampedusa non praticava l'invenzione pura, ma cercava negli scritti di cristallizzare la propria esperienza umana.
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" Per questo forse l'uomo che all'inizio di Casa Lampedusa vediamo passeggiare nelle vie di Palermo ricorda tanto da vicino il Principe conosciuto tra le pagine del Gattopardo: è incalzato due volte dal tempo, quello della malattia che gli toglie il fiato e quello di un mondo, di una società a cui non sente più di appartenere. Nel romanzo di Steven Price è una mattina di gennaio (siamo nel secondo dopoguerra, in una Palermo ancora segnata dalla devastazione) quando a Tomasi di Lampedusa viene diagnosticato un grave enfisema; mentre sta andando al Caffè Mazzara per incontrare il cugino, Lucio Piccolo, fa una sosta in chiesa e lì viene raggiunto dalle parole di Stendhal: l'eternità sono le parole che lasciamo, la cronaca del tempo che abbiamo vissuto. Da qui parte il racconto degli ultimi anni della vita di Tomasi di Lampedusa, anni di scrittura e di vani tentativi di pubblicazione, con Mondadori ed Einaudi che rifiutano il manoscritto. Come scrive sempre il nipote nella sua nota, "la tragedia è affatto umana, non letteraria": il romanzo uscirà postumo, l'autore non potrà vederlo stampato ma ha consegnato al mondo uno dei capolavori del Novecento.